Stalin, un nemico del
culto della personalità
Testo apparso in "Gegen Die Stömung", organizzazione
per la costruzione di un Partito comunista
rivoluzionario tedesco, luglio/agosto 1996, in
francese maggio 1998
http://membres.lycos.fr/edipro/page18.htm
Sin dal famoso e controverso "discorso segreto" di
Kruscev al XX congresso del PC dell’Unione Sovietica
nel 1956, un rimprovero assai noto mosso a Stalin è
che egli avrebbe iniziato e imposto al partito un "culto
della personalità" votato a lui stesso.
Non si può certo negare che circolassero in Unione
Sovietica idealizzazioni e lodi a Stalin
ridicolmente esagerate, come pure valutazioni troppo
grandi e formali dei suoi meriti e della sua
persona, che non di rado sfioravano la retorica.
Tuttavia Stalin era nemico di ogni forma di culto
della personalità, e combattè sempre con insistenza
l'idealizzazione di singoli individui.
« Lenin ci insegna che possono essere grandi
dirigenti bolscevichi solo coloro che sanno sia
insegnare agli operai e ai contadini, sia imparare
da loro » (Stalin, "Domande sul leninismo",
1939, da noi tradotto a partire dall’edizione
tedesca).
Egli ha parlato in modo molto autocritico del
proprio lavoro e dei propri errori (vedi Opere di
Stalin, Tomo I, la Prefazione dell'autore),
combattendo esagerazioni e adulazioni.
Così, in una lettera del 16 febbraio 1938 indizzata
alle edizioni "Djestisdat" (Edizioni del libro per
bambini) accanto al Komsol, Stalin, interpellato in
proposito, si oppose alla pubblicazione di un libro
dedicato alla sua persona. Ecco il testo della
lettera:
« Mi oppongo energicamente alla pubblicazione del
"Racconto sull'infanzia di Stalin". Questo libro
contiene innumerevoli affermazioni che non
corrispondono ai fatti, deformazioni, esagerazioni e
lodi immeritate. Gli autori finiscono per confondere
i lettori, sono bugiardi (seppur, forse, in buona
fede) e adulatori. So che queste considerazioni
risulteranno dolorose per loro, ma un fatto resta un
fatto. E non è questo il punto il più importante. Il
punto il più importante è che il libro tende ad
instillare nella coscienza dei bambini sovietici (e
degli uomini in generale) il culto della personalità,
il culto del dirigente, il culto degli eroi che non
sbagliano mai. Ciò è pericoloso e nocivo. La teoria
degli "eroi" e della "massa" non è una teoria
bolscevica, ma una teoria dei socialdemocratici. Gli
eroi danno risalto al popolo, lo trasformano da una
massa in un popolo - affermano i socialdemocratici.
È il popolo a dare risalto agli eroi – rispondono i
bolscevichi ai socialdemocratici. Ogni libro di
questo tipo aiuterà il lavoro dei socialdemocratici,
e danneggerà l'insieme del nostro lavoro bolscevico.
» (La lettera di Stalin, pubblicata nel
1953 nel "Voprosy istorij" (Domande della storia)
N°11, è citata e tradotta da noi sulla base di
J.W.Stalin, Werke, Erganzungsband 1929-1952, Berlino)
Stalin disapprovava comportamenti e atteggiamenti di
sottomissione nei confronti della sua persona (così
come nei confronti di ogni uomo) considerandoli cosa
inutile, retorica intellettuale e non comunista. «
Lei parla della sua "devozione" alla mia persona.
Forse queste parole le sono sfuggite per caso. Forse.
Se non è così, allora le consiglio di sradicare il
principio stesso della "devozione" nei confronti
delle persone, perché ciò non ha nulla a che vedere
con il pensiero bolscevico». (Stalin, Lettera al
compagno Schatunowski, 1930, tradotto da noi sulla
base di Werke, Band 13, p. 17)
Anni dopo, nel 1946, egli scriverà al colonnello
dell’Armata Rossa professor dr. Rasin, che aveva
lodato con esaltazione l’operato di Stalin nel
respingere gli attacchi della Wermacht nazista
all'Unione Sovietica: « Persino l’orecchio è
ferito per le lodi a Stalin, è semplicemente penoso
leggerle. » (Stalin, risposta, 23 Febbraio 1946,
pubblicata nel "Neue Welt", quaderno 7, aprile 1947,
p.23-25, tradotto da noi sulla base di Werke,
Band 15, p.58)
Stalin e il massacro di Katyn
Oleg Shenin - Il ruolo di J.V. Stalin e del Partito
Comunista (Bolscevico) dell'Unione Sovietica nella
grande guerra patriottica del 1941-1945
http://www.geocities.com/komintern_doc/komintern022.htm
Con una ostinazione maniacale, la borghesia si
industria ad inculcare nella coscienza collettiva il
mito delle "crudeltà di Stalin" a proposito
dell'esecuzione nell’aprile 1940 – ad opera delle
truppe del Ministero dell’Interno nel bosco di
Katyn, vicino a Smolensk – di 10.000 ufficiali
polacchi. Nel 1993, accecato da un anticomunismo
feroce, il regime di Boris Eltsin ha riconosciuto,
per interesse politico, questa falsificazione,
questa gigantesca provocazione. Infatti, ancor prima
della liberazione di Smolensk da parte dell'Armata
Rossa, gli esperti internazionali della commissione
inviata dai tedeschi avevano avuto modo di
constatare che le pallottole nei cadaveri erano di
marca tedesca (GEZO, serie D, calibro 7,65). L’8
maggio 1943, il bugiardo patologico Goebbels
scriveva nel suo diario: «Purtroppo (che sfortuna)
sono state trovate munizioni tedesche nelle fosse di
Katyn...Se il nemico è conoscenza di questo fatto,
saremo costretti a rinunciare a tutta la storia di
Katyn. » L'emigrazione polacca, il "governo in
esilio" di Sikorsky, hanno particolarmente insistito
in questa versione. Stalin ha energicamente
dichiarato: « Sbarazzeremo la Polonia dal Governo
emigrato.» Ha categoricamente respinto che
esistesse una «pressione sul governo sovietico
nell’intento di strappargli rivendicazioni
territoriali nei confronti dell’Ucraina sovietica,
della Bielorussia sovietica e della Lituania
sovietica.» In un colloquio privato, Roosevelt
dichiarò che una parte importante del suo elettorato
era di origini polacche e baltiche...E benchè «egli
fosse personalmente d'accordo con Stalin circa lo
spostamento del confine russo-polacco verso ovest
... non poteva appoggiare pubblicamente tale
programma in quel momento. »
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Nei primi due anni che seguirono la vittoria sulla
Germania, la maggior parte dei giornali mantenne (salvo
rare eccezioni) un certo ritegno nelle accuse e
negli attacchi velenosi contro l’Unione Sovietica.
Ma a partire dal 1947 si scatenò un tale diluvio di
infamie che è impossibile contarle, tanto esse
furono numerose e quotidiane. La palma del più
assiduo spetta senza dubbio al settimanale gollista
Carrefour. Quest’ultimo pubblicò una vignetta
in cui appaiono due soldati russi, con il
caratteristico copricapo mongolo dalla stella rossa,
ovviamente trasandati e scheletrici. Non hanno il
coltello fra i denti ma un revolver in mano, e ai
loro piedi giace un ufficiale polacco assassinato. È
lo stesso disegno, appena ritoccato, apparso nel
1943 nel giornale di Goebbels "Das Reich", al
momento della macabra messinscena della "fossa di
Katyn"! (Fernand Grenier, Au pays de Staline,
1950, Edition numérique, p.43.)
Stalin e le perdite umane sovietiche
della Seconda Guerra Mondiale Imperialista
La borghesia, non rinunciando a nessuna menzogna pur
di indurre a credere che il compagno Stalin non
accordava alcun valore alla vita umana, non esita a
fargli dire il contrario di ciò che in realtà ha
detto.
Innanzitutto, occorre ricordare che la borghesia
stima le perdite umane "fra i 17 e i 26 milioni
per l'Unione Sovietica" (Encarta 2004, Bilancio
della Seconda Guerra Mondiale)
A fronte di ciò, la borghesia afferma dunque che "Stalin
tenta di minimizzare il salasso in vite umane,
riconescendo soltanto 7 milioni di morti"
(Encarta 2004; Prezzo e conseguenze della Seconda
Guerra Mondiale in URSS)
C'è in tutto questo una parvenza di verità? Per
nulla! Non solo Stalin riconosceva che l'URSS aveva
subìto perdite ben più pesanti, ma le evocava anche
con maggior insistenza per ricordare agli
imperialisti inglesi e americani, fautori della
guerra, il ruolo decisivo dell’Unione sovietica
nella vittoria contro il nazismo.
Così, nella sua "Intervista sul discorso del
signor Churchill a Fulton", nel marzo 1946 (meno
di un anno dopo la fine della guerra), Stalin
ricordava a Churchill che:
«In seguito all’invasione nazista l'Unione Sovietica
ha perso – nei combattimenti con i tedeschi, durante
l'occupazione e con la prigionia – circa 17 milioni
di persone. Altrimenti detto, le perdite dell'Unione
Sovietica oltrepassano di molte volte quelle
dell’Inghilterra e degli Stati Uniti messe insieme.
È possibile che in certi luoghi si possa tendere a
dimenticare queste perdite colossali per il popolo
sovietico, che hanno permesso la liberazione
dell’Europa dal giogo nazista. Ma l'Unione Sovietica
non può certo dimenticarle.» (Stalin, Opere,
Tomo XVI (1941-1949), NBE, 1975, p.212-213)
Si può notare ancora una volta come la borghesia
abbia "ammirevolmente" fatto propria la prassi delle
"bugie alla Goebbels"!
"Stalinismo" : alcune osservazioni sui processi
di Mosca
http://users.skynet.be/roger.romain/proces_de_moscou.htm
Sul forum "Pace socialismo comunismo" si faceva
questione dei famosi processi di Mosca degli anni
'30, promossi contro delitti imputabili allo "stalinismo".
D’altra parte, questi processi tornano puntualmente
agli onori della stampa, libri e giornali, come veri
slogan che la propaganda anticomunista non si cura
mai nè di approfondire nè di smentire.
Li richiamo dunque, facendo ricorso alle
osservazioni e alle testimonianze d'epoca seguenti:
Estratti del libro, pubblicato nel 1943 a Zurigo, di
J.E. Davies «Ambasciatore degli Stati Uniti a
Mosca. Relazioni autentiche e confidenziali
sull'Unione Sovietica fino all’ottobre 1941.»
Davies ha seguito – tutti i diplomatici potevano
farlo – i processi di Mosca, come osservatore (era
giurista).
Il 17 Marzo 1938 egli inviò a Washington le sue
impressioni sul processo di Bukharin e altri a
Mosca. Il dispaccio è così concepito (estratti):
«Nonostante i miei pregiudizi (...) dopo aver
osservato quotidianamente i testimoni e il loro modo
di deporre, e in ragione di fatti finora sconosciuti,
giustificati (...) sono arrivato alla conclusione
che gli accusati abbiano effettivamente violato le
leggi sovietiche enumerate negli atti d'accusa. Le
stesse, confermate nel contraddittorio, provano le
accuse d'alto tradimento e giustificano le condanne
emesse contro di loro. L'opinione dei diplomatici
che hanno assistito regolarmente ai dibattiti è
stata unanime: il processo ha denunciato l'esistenza
di una congiura d'opposizione politica di altissimo
livello. Il processo ha permesso loro di capire
fatti che erano fino ad allora incomprensibili.»
(p. 209)
Davies aveva già nel 1937 assistito al processo di
Radek e altri, e il 17 febbraio dello stesso anno
aveva inviato un rapporto in merito al Segretario di
Stato degli Stati Uniti. In esso affermava (p.33):
«Una ragione oggettiva (...) mi ha fatto
concludere – a malincuore - che lo Stato ha
realmente provato le accuse. Non esiste alcun dubbio
sull'esistenza di una cospirazione assai grave fra i
dirigenti contro il governo sovietico, e sul fatto
che le violazioni della legge indicate nei capi
d'accusa siano realmente state commesse, e siano
dunque punibili. Ho parlato con praticamente tutti i
membri del corpo diplomatico qui presenti, e tranne,
forse, una sola eccezione, tutti sono dell’avviso
che i dibattiti abbiano stabilito l’effettiva
esistenza di un piano segreto e di una cospirazione
miranti ad eliminare il governo.»
Nel suo diario, l’11 Marzo 1937, Davies ha annotato
quest'episodio:
«Un altro diplomatico ha fatto ieri una
considerazione istruttiva. Parlavamo del processo ed
egli ha affermato: "Gli accusati sono senza alcun
dubbio colpevoli, abbiamo tutti assistito al
processo, siamo unanimi. Ma per il mondo esterno, al
contrario, le descrizioni del processo hanno il
carattere di una messinscena". Sapeva come ciò non
rispondesse al vero, ma apparentemente era bene che
il resto del mondo avesse questa impressione.»
(p.86)
Davies parla di numerosi arresti ed "epurazioni"
avvenuti il 4 luglio su ordine del ministro degli
Affari esteri Litvinov.
A proposito di quest’ultimo, riporta:
«Litvinov (...) ha dichiarato che grazie a queste
epurazioni è certo che nessun tradimento a favore di
Berlino o Tokyo sarebbe più possibile. Un giorno il
mondo capirà che ciò che è stato fatto era
necessario. Occorreva che proteggessero il loro
governo da questo "tradimento minaccioso". In
effetti, hanno reso servizio al mondo intero,
preservando dal pericolo del dominio mondiale dei
nazisti di Hitler. L'Unione Sovietica è un forte
bastione contro il pericolo nazionalsocialista.
Verrà un giorno in cui il mondo intero potrà
riconoscere quale grande uomo fu Stalin.»
(p.128)
Ricca d’insegnamenti è anche la descrizione della
conversazione avuta con Stalin, contenuta nella
lettera del 9 giugno 1938 a sua figlia. Egli rimase
impressionato dalla personalità di Stalin:
«Se riesci ad immaginare un personaggio totalmente
diverso, in tutti i sensi, da ciò che i suoi più
feroci avversari sono arrivati a descrivere, allora
hai un'immagine di quest’uomo. La situazione che
constato qui e la sua personalità sono
diametralmente opposte. La spiegazione di questo
risiede forse nel fatto che questi uomini sono
pronti a fare per una religione o una "causa" ciò
che non avrebbero mai fatto altrimenti.» (p.
276)
Dopo l'aggressione dell'Unione Sovietica da parte
dei fascisti, Davies riassume le sue opinioni nel
1941 affermando che «i processi per alto
tradimento hanno messo in rotta la quinta colonna di
Hitler». (p.209)
Nel 1936 ebbero luogo i processi contro Zinoviev e
altri. L'avvocato britannico D.N. Pritt (K.C.) potè
assistervi. Scrisse le sue impressioni nel libro "From
Right to Left" uscito nel 1965 a Londra.
«La mia impressione è che il processo sia stato
condotto equamente, e che gli accusati fossero
realmente colpevoli. La stessa sensazione è
condivisa da tutti i giornalisti con i quali ho
potuto parlare. E certamente pensavano la stessa
cosa tutti gli osservatori stranieri (ce n’erano
molti, soprattutto diplomatici). Ho sentito uno di
loro affermare: "Naturalmente, sono colpevoli. Ma
per ragioni di propaganda, dobbiamo negare.» (p.
110-111)
Dalle affermazioni di esperti di legge quali i
non-comunisti Davies e Pritt, appare evidente che
gli accusati dei processi di Mosca del 1936, 1937 e
1938 furono condannati perché le accuse sono state
provate. In questo contesto è utile ricordare ciò
che Berthold Brecht scrisse su questi processi, per
esempio la concezione degli accusati.
«Una falsa concezione li ha condotti ad un profondo
isolamento e al crimine. Tutte le canaglie del Paese
e dell’estero, tutti questi parassiti hanno visto
instaurarsi in loro il sabotaggio e lo spionaggio.
Avevano gli stessi obiettivi dei criminali. Sono
persuaso che questa è la verità, e che come tale
sarà intesa nell’Europa dell'Ovest, anche dai
lettori nemici...Il politicante che ha bisogno della
disfatta per impadronirsi del potere, persegue la
disfatta. Colui che vuol essere il "salvatore" opera
per mettere in atto una situazione nella quale potrà
"salvare", e quindi una situazione cattiva...
Trotsky ha dapprima interpretato il crollo dello
Stato operaio come una conseguenza della guerra, o
meglio del pericolo da essa rappresentato, ma più
avanti la stessa è divenuta per lui un presupposto
alla sua azione pratica. Se la guerra arrivasse, la
costruzione "precipitata" sprofonderebbe, l'apparato
sarebbe isolato delle masse. All’esterno occorrerà
rinunciare all’Ucraina, alla Siberia orientale, ecc...
All'interno, bisognerà fare concessioni, tornare
alle forme capitaliste, rinforzare o lasciare
rinforzarsi i gulag; ma tutto ciò va nella direzione
di una nuova azione, il ritorno di Trotsky. I centri
anti-stalinisti non hanno la forza morale di
ricorrere al proletariato, non tanto perché siano
vigliacchi, quanto piuttosto perché non possiedono
una reale base organizzata in seno alle masse, non
hanno niente da proporre, non hanno compiti da
assegnare alle forze produttive del Paese. Dunque,
confessano. E possiamo pensare che confessino anche
più di quanto non ci si aspetterebbe. »
(B.Brecht, scritti sulla politica e la società, L.I.
1919-1941. Aufbau-Verlag. Berlino e Weimar 1968 -
p.172 e segg.)
Se partiamo dal presupposto che Davies e Pritt (e
Brecht), con il loro giudizio sul processo di Mosca,
avevano ragione, allora bisognerà porsi
necessariamente una domanda: coloro - come Kruscev e
Gorbaciov - che hanno dichiarato vittime innocenti i
condannati dei processi di Mosca, non l’avranno
fatto perché simpatizzavano con essi, o erano
addirittura loro complici, e volevano quindi metter
fine ad un’impresa fallita?
Il sessantesimo anniversario della
vittoria sovietica sul fascismo
«Scommessa vinta per Vladimir Putin. Il
presidente russo è riuscito a riunire ieri a Mosca,
in un’atmosfera di grande consenso, il fior fiore
dei dirigenti mondiali per celebrare il sessantesimo
anniversario della vittoria del 1945 sul nazismo. La
parata militare, cui partecipano più di 7000 soldati
e 2500 vecchi combattenti della Seconda Guerra
Mondiale, ha preso il via non appena le campane
hanno scandito le dieci. Tre soldati hanno
attraversato la Piazza Rossa, recando la bandiera
dell'armata sovietica, ridivenuta l'emblema dell'
esercito russo con Vladimir Putin. Egli, che si è
impegnato sin dal suo arrivo al potere nel 2000 a
restaurare la perduta grandezza della Russia, ha
tenuto a sottolineare nei suoi discorsi il ruolo
essenziale dell'Unione Sovietica - con i suoi 27
milioni di morti - nella vittoria sul nazismo, pur
senza mettere a disagio i suoi ospiti. Esprimendosi
davanti ad una sessantina di dirigenti stranieri,
fra i quali il presidente americano George W.Bush,
quello francese Jacques Chirac e il cancelliere
tedesco Gerhard Schröder, Putin ha approfittato
dell’occasione per mettere l’accento sulla nuova
alleanza contro il terrorismo. Il padrone del
Cremlino ha evitato ogni soggetto delicato e ogni
possibile allusione alla polemica con gli stati
baltici e gli Stati Uniti sull' "occupazione"
sovietica seguita alla liberazione dell'Est europeo
da parte dell’Armata Rossa, termine energicamente
respinto da Mosca. Unica nota stonata, alcune
migliaia di comunisti russi hanno manifestato ieri
nella capitale invocando le dimissioni di Putin e la
glorificazione di Stalin. D'altronde, il viaggio dei
leaders mondiali era stato sconfessato dai difensori
dei diritti umani e dai separatisti ceceni, che ne
avevano denunziato domenica il "cinismo".(AFP)»
(La Piazza Rossa fa piazza pulita - martedì 10
Maggio 2005)
http://www.20minutes.fr/journal/monde/article.php?ida=51161)
«Più la guerra si allontana, più se ne parla a
sproposito!» Ivan, 81 anni, il petto bardato di
stelle e di nastri, sfilerà oggi fra gli ex-combattenti
sulla Piazza Rossa. Ma è ben consapevole di non
essere altro che un attore, chiamato a recitare in
una grandissima messinscena della Storia. «Quest'anno
ho particolarmente esitato a partecipare –
confessa questo veterano, incontrato in una delle
numerose prove della cerimonia organizzate nelle
scorse settimane nel centro di Mosca. – Sono
deluso dal nostro governo, che ci ha appena privati
di una lunga serie di vantaggi sociali, e vedo che
della libertà per cui abbiamo combattuto beneficiano
soprattutto i capitalisti che occupano ora la Russia!
È senza dubbio l'ultima volta che ho la forza di
partecipare a questa grande celebrazione. Sfilando
sulla Piazza Rossa, avrò soprattutto un pensiero per
Lenin e Stalin, che saluterò.» (Libération,
maggio 2005)
"Nostalgie staliniste"
http://www.jeuneafrique.com/jeune_afrique/article_jeune_afrique.asp?art_cle=LIN05026nostasennei0
«Condotto nel giugno 2005 su un campione di 2000
giovani russi tra i 16 e i 29 anni, un terzo
sondaggio conferma la tendenza. Stalin, del quale il
70% degli intervistati sa che ha "fatto torturare,
imprigionare e uccidere milioni di innocenti", è
paradossalmente considerato un "crudele tiranno"
solo dal 43% di questi giovani. L’ambivalenza dei
loro sentimenti, unita ad evidenti lacune storiche,
li conduce addirittura a definirlo un "leader capace"
(51% contro 39%) di cui è stato "esagerato il ruolo
nelle repressioni" (42% contro 37%) e che, in
definitiva, ha fatto "più bene che male" (56% contro
33%). Solo il 28% degli intervistati gli nega il
merito della vittoria sul nazismo. La grande
maggioranza di essi sembra ignorare le purghe
massicce che egli inflisse all’Armata Rossa,
indebolendola pericolosamente alla vigilia della
Seconda Guerra mondiale. »
Se esistono "lacune storiche", ciò è evidentemente
dovuto al fatto che la maggior parte dei russi è
stata nutrita di menzogne durante mezzo secolo di
potere revisionista-borghese… Oggi, persino gli
storici anticomunisti più seri riconoscono che le
cifre delle "vittime dello stalinismo" sono state
gonfiate a dismisura: basti pensare che nel suo
libro Le siècle soviétique (Fayard — Le Monde
Diplomatique, Paris, 2003) Moshe Lewin dà per buona
la cifra avanzata da Zeskov, secondo cui 700mila
persone arrestate per ragioni politiche sarebbero
state giustiziate fra il 1921 e il 1953. Insomma,
questi storici "obbiettivi" cercano malgrado tutto
di conservare intatto il mito del "terrore sotto la
dittatura personale di Stalin"! (E, soprattutto, non
arrivano un solo istante ad ammettere che, forse,
questi condannati erano davvero colpevoli...)
Se ci fossero errori in questo testo,
segnalatelo p.f. all'indirizzo
occitan_rouge@hotmail.fr
lub —
aleksev@tele2.it
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